L’arte del pastore

IV domenica di Pasqua

Le letture di oggi: https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20240421.shtml

Pastori si diventa e Gesù è il modello per eccellenza in quest’arte rara e preziosa di cui traccia il percorso nel bellissimo discorso di cui abbiamo letto la seconda parte. Il primo elemento è la porta. Che sia sempre aperta, visibile, accessibile. Una porta da cui si entra e si esce, che non trattiene, non blocca, ma permette sempre il passaggio. Gesù è questa porta: è bello pensarlo sulla soglia, come gli ostiari che stavano alle porte delle chiese e accoglievano le persone chiedendo come fosse trascorsa la settimana…

Si inserisce qui il secondo elemento, la conoscenza. Gesù insiste molto su questo: le pecore conoscono il pastore così come il pastore conosce le pecore. Una conoscenza che arriva al commovente dettaglio della voce: ti riconosco appena ti sento, sei tu, mi fido! E, attenzione, non ci si conosce se non si diventa uguali. L’arte del pastore è proprio questa: imparare a diventare uguali, a non guardare più nessuno dall’alto in basso, e a pentirsi amaramente se capita di farlo… Una pratica francescana, profondamente cristiana… diventare minori, come dice papa Francesco, con l’odore delle pecore…

Il terzo elemento è, in fondo, lo sviluppo del secondo: se tu conosci le persone, se ti ci affezioni, allora non puoi far altro che dare la vita per loro. È la differenza rispetto al mercenario, al quale, appunto «non gli importa delle pecore». È la domanda che Gesù risorto porrà a Pietro il giorno del suo esame sul lago di Tiberiade: «Mi ami tu? Mi ami tu? Mi vuoi bene?». Ti importa di me, ti importa di loro? È l’I care di don Milani, il “mi sta a cuore”, il “mi interessa” che diventa dono.

C’è un ultimo elemento che chiude, in un certo senso, il percorso di formazione dei pastori. Si ricollega al primo, alla porta sempre aperta, per la quale si entra e si esce. Il pastore ha delle pecore, ma ce ne sono anche altre, guai se chiudesse i suoi orizzonti a quelle più vicine. Ecco, ci sono pecore anche fuori da questo recinto, c’è da sporgersi. È il movimento verso l’altro, il cuore di Dio che non si ferma dentro nessun recinto, un Dio che sconfina e che ci chiede di sconfinare come lui ha fatto. Un impegno anche faticoso, perché quando sconfini ti trovi in terra straniera… ma è proprio lì che il pastore è chiamato ad arrivare. Per fare comunione, perché si diventi «un solo gregge, un solo pastore». Sconfina il pastore perché impari a sconfinare la comunità: guai a rinchiuderci! Fidiamoci di questo Dio che è sempre in cammino e ci chiama a camminare con lui!

Ecco le caratteristiche del pastore: porta aperta, conoscenza, dono della vita, sconfinamento: un’occasione preziosa anche per me, per interrogarmi a che punto sono in questo cammino e chiedere l’aiuto della grazia di Dio per diventarlo.

Meglio parlare a Dio che di Dio

III domenica di Pasqua

Le letture di oggi: https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20240414.shtml

C’è molta differenza tra il “parlare di Dio” e il “parlare con lui”. Il racconto di Luca che abbiamo ascoltato ce lo mostra in tutta la sua evidenza. Apparentemente, in effetti, tutto lascia supporre che il racconto dei due discepoli tornati in tutta fretta da Emmaus sia stato molto coinvolgente: il cammino con l’uomo misterioso che non sa nulla di quello che è accaduto a Gerusalemme, i suoi rimproveri e il loro cuore che arde mentre lo ascoltano, e poi la cena insieme e il riconoscimento conclusivo. Un annuncio che potrebbe bastare ad aprire alla fede il cuore degli ascoltatori.

E, invece, no: all’arrivo di Gesù la verità di quei cuori si mostra per quella che è. Dubitano, sono sconvolti e pieni di paura, e non è nemmeno sufficiente che Gesù mostri loro le sue mani e i suoi piedi, provando a convincerli: «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Tanto sono fuori di sé che Gesù non trova niente di meglio che chiedere loro da mangiare, né sappiamo se il suo stratagemma abbia funzionato. Quello che è certo è che ora non sono più loro a parlare di lui, ma è Gesù che parla e con la sua parola è in grado di «aprire loro la mente per comprendere le Scritture».

Ne derivano un ammonimento e una sfida. Lo aveva capito bene già santa Teresa di Gesù Bambino: «È meglio parlare a Dio che di Dio: si mescola tanto amor proprio nelle conversazioni spirituali!». Facile riempirci la bocca di Dio, riempire l’etere di annunci spirituali, fare bei discorsi dall’ambone. Si può finire per sentirsi al sicuro, ma se si scava un po’ più a fondo si scopre che, a forza di parole umane, non si riesce veramente a cambiare. È come se ci guardassimo allo specchio, fra noi, senza che accada nessuna apertura verso Dio, come se ci facessimo il trucco in superficie, ma laggiù in fondo al cuore rimane tutto come prima.

Ecco, allora, la sfida: come far sì che Gesù ci parli proprio oggi, che parli a me al di là di quello che qualcuno mi può dire di lui? Detto altrimenti: se questo non accade nella mia vita, allora è tutto inutile, tutto è un inganno. E, dunque, dove si può ascoltare la voce di Dio? La risposta è precisa e chiara: Dio ci parla nella celebrazione. Certo, non solo qui. Ci rivolge la sua parola nel dialogo personalissimo e segreto di ciascuno di noi con lui, nel volto di chi ha bisogno, nella bellezza della natura, talvolta, sì, anche nelle parole dei fratelli. Ma soprattutto e prima di tutto ci parla qui. Per questo la messa è così preziosa, perché è il momento in cui possiamo metterci davvero in ascolto. Tutto nella messa è messaggio, è qui che accade l’incontro tra il divino e l’umano, è qui che il mio cuore può ardere come quello dei due discepoli a Emmaus. Dio fa tutto, ovviamente. A noi spetta solo di non barattare la sua parola con le nostre, di prenderlo sul serio, di metterci in ascolto con tutti noi stessi, di vivere questo tempo con tutta l’intensità possibile. Dio ci parla davvero, qui e ora. Non ascoltiamolo in modo distratto o superficiale, ma con tutta l’attesa di un povero che bussa e non ha altri che possano aiutarlo se non Dio. Allora certamente la sua parola penetrerà profondamente in noi e ci trasformerà!

Pace a voi!

II domenica di Pasqua

Le letture di oggi: https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20240407.shtml

È appena risorto e subito si mette al lavoro. Non che non ce ne sia ragione. I suoi amici sono così lontani dalla luce della risurrezione che occorre aiutarli in tutti i modi. I dettagli che ce lo fanno comprendere sono ben indicati: porte chiuse, timore dei giudei, quel giorno stesso e ancora dopo una settimana. Per non parlare della durezza di Tommaso che forse è solo il più onesto di tutti e dichiara apertamente i suoi dubbi e le sue resistenze: «se non vedo, se non metto, io non credo». Siamo sempre allo stesso punto: cosa significa credere alla risurrezione?

Gesù inizia dal principio. Lo fa con i suoi amici e lo fa con noi, non molto più avanti di loro nonostante quasi duemila anni di cristianesimo… Forse scorrendo i tratti di questo suo umile lavoro nei confronti del cuore umano possiamo tracciare uno schizzo del mistero della risurrezione. Un mistero immenso e, allo stesso tempo, minimo, ricchissimo e poverissimo. Prima di tutto la cadenza settimanale. È come un venditore ambulante che bussa alla mia porta ogni settimana alla stessa ora e nello stesso giorno. Lo fa con insistenza, per mesi e anni, otto giorni dopo otto giorni, finché forse il mio cuore non inizia ad ammorbidirsi, e io lo faccio entrare: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Gesù suggerisce un ritmo settimanale perché la trasformazione del cuore è un evento che si distende nel tempo, è fatto di incontri ripetuti, della fatica anche fisica di esserci, così come siamo, ogni otto giorni. Di esserci insieme.

Dentro questi appuntamenti, ecco i due ingredienti decisivi: la pace e il perdono, in fondo i due grandi temi della preghiera di Gesù – ma anche il pane, il mangiare insieme di cui ci parla l’apparizione di Gesù sul lago, dove solo il momento conviviale fa breccia nei cuori spaventati dei suoi amici pescatori –. Ascoltiamolo l’invito ripetuto di Gesù: «Pace a voi, pace a voi, pace a voi». Ancora una volta, un’umile insistenza che bussa ai nostri cuori induriti, rigidi, ostinatamente bloccati. Che ti costa fare pace e perdonare ora che hai il dono dello Spirito santo? Che ti costa tendere la mano e scambiarla con tutti, allargare le braccia e stringerti in un lungo abbraccio con la persona che non hai salutato forse per anni? Che ti costa rompere i tuoi schemi? Perché no? Cos’hai da difendere o proteggere? Pace a voi!

La cura di Tommaso, infine, ci rivela un dettaglio perfino sconvolgente. La risurrezione è anche una questione di tocchi, di mani che si allungano verso il cuore ferito dell’altro. Gesù ci sta davanti in tutta la sua incredibile debolezza. È il Crocifisso risorto che ci offre la straordinaria lezione che anche san Paolo, nonostante tutto, avrebbe infine compreso. Aveva chiesto ripetutamente di essere trasformato in un supereroe, di essere reso perfetto e forte. E invece, Gesù lo fissa nella sua debolezza: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Allora, finalmente, comprende il segreto della vita, proprio come Tommaso: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,9-10).

Il Patto del Sorriso
Scoppio del Carro 2024

La proposta di Pasqua di quest’anno è UN INVITO AL SORRISO: basta musi lunghi, basta smorfie, solo e sempre sorrisi, convinti, irresistibili, ma allo stesso tempo spontanei e semplici come quello della bambina nell’immagine. Sorrisi sempre, soltanto sorrisi. Così che chi verrà quest’estate a Panzano possa rimanere stupito e domandarsi: com’è possibile che qui sorridono tutti? Cosa accade qui di così straordinario?

Sorrisi nessuno escluso: c’è sempre un motivo per sorridere, sempre! Basta cercarlo, magari con un po’ più di convinzione, ed ecco che lo troviamo! Sarà questo, per chi crede, il segno vero della Pasqua e della risurrezione di Gesù: in effetti, se lui ha vinto la morte, che cosa abbiamo da temere! E, dunque, buoni sorrisi a tutti!

Potrà ispirarci questa bellissima poesia di fra David Maria Turoldo, scritta proprio pensando alla Pasqua.


Per il mattino di Pasqua

Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.

Andrò in giro per le strade
zufolando, così,
fino a che gli altri dicano: è pazzo!

E mi fermerò soprattutto coi bambini
a giocare in periferia,
e poi lascerò un fiore
ad ogni finestra dei poveri
e saluterò chiunque incontrerò per via
inchinandomi fino a terra.

E poi suonerò con le mie mani
le campane sulla torre
a più riprese
finché non sarò esausto.

E a chiunque venga
anche al ricco dirò:
siedi pure alla mia mensa,
(anche il ricco è un povero uomo).

E dirò a tutti:
avete visto il Signore?
Ma lo dirò in silenzio
e solo con un sorriso

Affacciarsi di là!

Pasqua di Risurrezione

Una risata sonora e contagiosa, di quelle che sgorgano dal fondo del cuore, fatta di pacifica e convinta incredulità e di una per niente malevola commiserazione. È questo che mi è accaduto di suscitare in una persona alla quale, parlando in questi giorni della Pasqua, avevo detto: sì, Gesù è morto ed è risorto. Come se mi dicesse: don, ma tu ci credi davvero? Non ti pare qualcosa di assurdo? Già, chi crede alla risurrezione? Chi di noi, qui, non ha dubbi in proposito? E chi saprebbe parlarne in modo credibile e convincente? Andando un po’ più a fondo: che cosa significa davvero risurrezione, che cosa avrebbe la risurrezione di Gesù – se mai è accaduta – a che fare con la mia vita?

La buona notizia è che proprio i testi che ce ne parlano, anche il brano del vangelo di Marco che abbiamo appena ascoltato, non sfuggono a questa domanda. Anzi, essi stessi ci parlano di dubbi, paure, incomprensioni… a cominciare dalle tre donne che, la mattina presto del giorno dopo il sabato, vanno al sepolcro per completare i riti della sepoltura. Il loro atteggiamento è del tutto simile alla nostra quando ci rechiamo in un cimitero. Stanno andando da un morto e il loro vero problema è la pesante pietra che chiude il sepolcro: chi potrà farla rotolare via? E quando trovano la tomba aperta, non sembrano battere ciglio: entrano sicure di trovare il corpo di Gesù. È morto, no?

È qui che il nostro testo ci segnala la prima anomalia: ecco, infatti, «un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca». Siamo dentro un sepolcro dove ha riposato per molte ore un uomo crocifisso, oppure in un salotto dove ci si siede comodamente in conversazione? Non sorprende che le donne abbiano paura: è un mondo radicalmente sconosciuto quello che si va spalancando davanti a loro. E dal quale arriva la notizia sconvolgente: Gesù non è qui, è altrove. Ha addirittura fissato un appuntamento per i suoi discepoli in Galilea. Il giovane le invita a non avere paura, ma, se leggiamo le righe che concludono il brano appena letto – giustamente omesse dalla liturgia perché scoraggianti –, veniamo a sapere che le donne «uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite» (v. 8).

Qualcuno è terrorizzato, qualcuno ride. Il punto è lo stesso: qui c’è qualcosa che sfugge radicalmente alle nostre coordinate. Anche il prosieguo del racconto di Marco vi insiste: Maria di Magdala incontra Gesù risorto, va a dirlo ai suoi amici, ma essi «non credettero» (v. 11). Due discepoli lo incontrano mentre «erano in cammino verso la campagna», ma i discepoli «non credettero neppure a loro» (vv. 12-13). Bisogna che sia Gesù in persona a presentarsi a tavola rimproverandoli della loro incredulità perché finalmente si aprano loro gli occhi. E ancora siamo in cammino.

I vangeli sono straordinari non perché ci danno delle ricettine facili facili, ma perché ci gettano dritto in faccia alla questione, ci chiamano in causa, ci provocano senza sconti. È il senso profondo delle parole del giovane: non cercate il Vivente tra i morti! Ci sono due percezioni della realtà che si confrontano. E tutti noi stasera siamo sfidati ad affacciarci di là. Perché, dopo tutto, nessun ragionamento potrebbe convincerci che Gesù è risorto. Potrei parlarvi per ore, ma tutto rimarrebbe bloccato, proprio come la grande pietra sul cuore delle donne. La sola cosa da fare è scommettere. E questo nessuno può farlo al posto mio. Pensiamoci!

La Domenica delle palme e della Passione del Signore è una sorta di grande portale che ci introduce nella Settimana santa. Nel corso della quale celebreremo i grandi misteri che sono nel cuore della fede cristiana:
* il Giovedì santo in cui riviviamo la Cena del Signore e il gesto commovente della Lavanda dei piedi
* il Venerdì santo in cui la liturgia ci farà rivivere la Passione del Signore
* il Sabato santo con la grande Veglia pasquale che ci accompagnerà fino alla notte della risurrezione
* la Domenica di Pasqua, giorno solenne di luce e di vita nuova, giorno dell’Alleluia!

Si tratta dei misteri più grandi della nostra fede che amano essere vissuti nella calma e nel silenzio.

Il trionfo della nonviolenza

Domenica delle Palme

Le letture di oggi: https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20240324.shtml

Come racconta il vangelo di Giovanni, se lo chiedevano tutti, a Gerusalemme, ormai nell’imminenza della Pasqua: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?» (Gv 11,56). Già, Gesù si farà vedere in città pur in mezzo a tutta l’ostilità che sta montando contro di lui? Verrà o preferirà starsene nascosto e al riparo? L’appuntamento è decisivo, in effetti, e non c’è nessuno che lo sappia meglio di lui. Ci metterà la faccia?

È proprio quello che celebriamo oggi: il sì di Dio alla storia e all’umanità, un Dio che non si conserva, non si protegge, proprio come abbiamo ascoltato nell’inno della lettera ai Filippesi: «Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini». Un Dio che si mescola con noi e che vive tutto quello che ci riguarda come esseri umani, «fino alla morte e a una morte di croce», continua l’inno.

Il racconto che Marco ci offre di questo appuntamento supremo colpisce per la sua asciutta solennità. Nemmeno una parola in più. Solo l’essenziale di questo venire di Gesù alla festa e scoprire che è esattamente la sua festa proprio perché egli lascia che gli facciano la festa. Ed è proprio così: più gli uomini si scatenano con la loro violenza, più la trappola è perfetta. Più la morte tenta di afferrare Gesù, più si accorge di essere stata lei stessa inghiottita nella vittoria: «Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?» (1Cor 15,55).

La tenerezza di Gesù disarma la violenza, il Dio che muore in croce fa saltare le logiche del potere e della forza. Il male è sconfitto per sempre e si apre davanti a noi il cammino di una vita nuova. È la Pasqua! Oggi come allora, proprio quando sembrava a un passo dalla vittoria, ecco che la violenza misura tutta la sua impotenza. Gridando dalla croce, Gesù annuncia una volta per tutte che «quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10)! Il nonviolento vince, la nonviolenza è il futuro della storia!

Il punto di partenza del vangelo di questa domenica è costituito dal desiderio di alcuni greci di vedere Gesù. Richiesta bellissima: conoscere e parlare con il Signore. E Gesù si dà a conoscere descrivendo l’avvicinarsi della sua passione-morte-risurrezione intesa come manifestazione piena della sua gloria. Il Signore si presenta con una similitudine quanto mai adatta a esprimere il senso profondo della sua vita, nel segno della fecondità: un chicco di grano, caduto in terra, solamente se muore produce molto frutto. Con questa similitudine veniamo istruiti riguardo alla fecondità della morte di Gesù.

* Quante volte la nostra vita è come un seme
che, non accettando di morire, rimane sterile?

** In che misura le nostre domande di fondo
ci spingono a chiedere di “vedere e incontrare il Signore”
?

*** La salvezza di Dio per mezzo di Gesù Cristo è universale,
egli attira tutti a sé:
quanto si allarga il nostro cuore nell’accoglienza degli altri?

Il sapore di Dio

IV domenica di Quaresima, Laetare

Le letture di oggi: https://www.lachiesa.it/calendario/Detailed/20240310.shtml

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito; chiunque crede in lui ha la vita eterna». Nel testo evangelico c’è una parola in più, la congiunzione infatti, ripetuta addirittura due volte: «Dio infatti ha tanto amato il mondo». E ancora: «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare». Non è una parola inutile, al contrario. Essa ci dice che c’è una storia che precede tutto e che spiega tutto, senza la quale ogni cosa rimarrebbe totalmente incomprensibile. Tutto accade perché da sempre Dio ama. E senza il suo amore nulla esisterebbe. In fondo, è il vero segreto che Gesù rivela a Nicodemo: l’hanno chiamato il centro del vangelo, il breviarium totius prophetiae, la sintesi di tutte le profezie, il motivo per cui oggi, ormai non più così lontani dalla Pasqua, facciamo festa e ci rallegriamo.

Sì, Dio ha amato e continua ad amare il mondo e ciascuno di noi. Ed è la notizia più consolante e luminosa che potessimo ricevere. Il punto fermo, proprio come argomenta Giovanni, a partire dal quale possiamo costruire la nostra vita. Sto forse male? Non posso mai dimenticare che Dio mi ama. Tutti forse mi ignorano? Ma Dio mi conosce perché mi ama. Il mondo sembra andare a rotoli? Dio lo ama e non permetterà che possa sfuggirgli di mano. Noi siamo inceppati perché abbiamo delle idee di Dio che finiscono per rinchiuderlo in confini che lo ridimensionano. Dio è più grande, immensamente più grande delle idee più grandi che possiamo farci di lui.

È proprio il problema di Nicodemo: andare a Dio con un’idea già preconfezionata di lui – «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui» (Gv 3,2) – e non riuscire a fargli spazio, non riuscire a scommettere tutto su un Dio che è più grande e non ha esaurito tutte le sue risorse. E che ci chiede pochissimo, solo un piccolo atto di abbandono, una sospensione della nostra cocciutaggine che ci mette sempre al centro di tutto: lasciare che la connessione con la forza inesauribile del suo amore faccia anche di noi, semplicemente e senza preoccuparci di risultati o di ricompense, donne e uomini che amano.

Dio ha tanto amato, e noi come lui: quando amo in me si raddoppia la vita, aumenta la forza, sono felice. Ogni mio gesto di cura, di tenerezza, di amicizia porta in me la forza di Dio, spalanca una finestra sull’infinito. Dio ha tanto amato, e noi come Lui: ci impegniamo non per salvare il mondo, l’ha già salvato Lui, ma per amarlo; non per convertire le persone, lo farà Lui, ma per amarle. Se non c’è amore, nessuna cattedra può dire Dio, nessun pulpito. L’amore è il ponte che ricollega la terra al cielo, il motore che fa ripartire ogni giorno la storia, una storia che sempre più avrà il sapore di Dio (Ermes Ronchi).

Gesù nella notte riceve la visita di Nicodèmo, un importante capo religioso, e ha con lui un lungo e profondo dialogo durante il quale Gesù si confida: sono stato mandato dal Padre, gli dice, non per condannare il mondo, ma per salvarlo.
Questo mondo che per tanti versi sembra impazzito, pieno di violenza e di morte, Dio continua ad amarlo. E come? Tramite il mistero della morte in croce del Figlio unigenito.
Anche in questi giorni sconvolti da più guerre, il Crocifisso appare come un segno di speranza, il più alto e inaudito. Il Crocifisso è quello stesso Cristo che a Pasqua celebriamo risorto. Lui che proprio poco prima di morire confidò ai suoi discepoli: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13).

* Anche noi come Nicodemo apriamo orecchi e cuore alle parole di Gesù: accogliamole con animo aperto e riconoscente.

** Condannare gli altri è facile, difficile è offrire loro un’ancora o via di salvezza.

*** Via via che ci avviciniamo alla Pasqua, Gesù sempre più apertamente parla della sua morte in Croce. Sono cosciente che questa è la sola strada per giungere alla Pasqua di Risurrezione del Signore?